L’Unione europea ha davvero bisogno di una dogana unica alle sue frontiere?
di Piero Bellante


 

L’intervento integrale dell’avv. Piero Bellante: Piero Bellante nota a Corriere della sera 22 marzo 2016


 

Il Corriere della Sera del 22 marzo 2016 ha pubblicato a pag. 29 un intervento di Marco de Andreis e Mauro Marè dal titolo “L’Europa ha bisogno di una dogana unica alle sue frontiere”. L’intervento prende spunto da un riflessione svolta qualche giorno prima da Francesco Giavazzi sullo stesso giornale, sulla necessità indifferibile di rifinanziare con risorse adeguate l’agenzia europea Frontex nella prospettiva della creazione di una forza unitaria di sicurezza europea. La suggestione è forte: perché non ricorrere allo stesso principio sotto il profilo doganale? Unione doganale = dogana unica.

L’avv. Piero Bellante, avvocato tributarista in Verona, si occupa esclusivamente – e da sempre – di diritto doganale. Per la Camera ha commentato l’articolo del Corriere della Sera e la proposta di una dogana unica europea.  

L’argomento – osserva l’avv. Bellante – è senza dubbio suggestivo ed ha una logica condivisibile per massimi sistemi; ma l’argomento è tanto suggestivo quanto inquietante. Come difensore, non convince affatto l’idea che esattore e beneficiario possano o addirittura debbano coincidere. Soprattutto quando l’esattore, cioè la Commissione europea attraverso i suoi servizi, è anche colui che stabilisce quali siano le norme e come si debbano applicare ed interpretare. Non è poi così vero che oggi ci siano 28 amministrazioni doganali diverse, che applicano ciascuna in modo stravagante le norme doganali. Già oggi i funzionari seguono corsi di formazione comunitari ed applicano tutti le stesse norme, che dal primo maggio 2016 consistono nel Reg. Ue 952/2013, nuovo Codice doganale dell’Unione, e dai Reg. Ue 2446/2015 e 2447/2015, rispettivamente regolamento delegato e regolamento di esecuzione del Codice. Gli scambi di informazione avvengono per via telematica; le linee guida della Commissione europea, attraverso la Direzione Generale TAXUD (Taxation and Customs Union), assicurano da anni l’interpretazione uniforme del diritto doganale comunitario sui punti più controversi; la Commissione emette pareri di classificazione delle merci secondo la nomenclatura doganale armonizzata a livello planetario; il Comitato per il valore in dogana fornisce importanti indicatori per l’interpretazione del difficile sistema di determinazione del valore in dogana. Perfino il sistema sanzionatorio viaggia verso l’unificazione: è allo studio una proposta di Direttiva per l’armonizzazione delle sanzioni in materia doganale, secondo i principi contenuti nel nuovo Codice doganale dell’Unione. Per definizione, tutti i beni di importazione sono in concorrenza con quelli prodotti da industrie locali: le logiche che ostacolano i traffici, semmai, sono altre; conta molto la cultura più o meno burocratica cui appartengono le singole amministrazioni. Gli strumenti comuni ci sono già e non sarà una divisa uguale per tutti a modificare in meglio l’atteggiamento dei verificatori. Perché il problema, quando sorge, si annida nell’applicazione quotidiana della norma e, chissà, forse anche nell’esistenza di meccanismi premiali collegati con il raggiungimento di obiettivi standard che non hanno niente a che fare con la riscossione unionale dei diritti realmente dovuti.

 

Nessun sistema comune potrà mai garantire il contribuente dall’arbitrio o dall’applicazione capziosa o eccessivamente burocratica della norma; circostanze che hanno come risultato quello di rallentare se non addirittura di bloccare per giorni settimane o anche mesi intere partite di merce negli spazi doganali, con gravi danni alle imprese che operano con l’estero e ai loro dipendenti. Il problema si pone anche verso l’export, non solo con l’import. Non è condivisibile, inoltre, l’equazione proposta dagli Autori “stato importatore = stato consumatore” ai fini del computo dell’imposta sul valore aggiunto. Proprio in virtù del funzionamento del sistema doganale, merce introdotta ad Amburgo può essere inviata a Malta, oggi in regime di circolazione intracomunitaria, dove sarà consumata. L’Iva è un’imposta di consumo comunitaria, che soggiace al principio di neutralità. E’ il mercato del consumatore finale quello che fa la differenza. Non è un caso se la nozione di “importazione” è, da sempre, estranea al diritto doganale comunitario: l’assolvimento dei dazi e delle tasse di effetto equivalente, che costituiscono tecnicamente l’essenza dell’obbligazione doganale comunitaria, comporta “immissione in libera pratica”, non importazione. L’assolvimento dei dazi e l’assolvimento dell’iva non necessariamente coincidono o devono coincidere. Tempi, presupposti e luoghi per la riscossione dell’imposta possono essere diversi.
Comunque tutto è possibile e tutto è migliorabile. Ma in un sistema ideale come quello ipotizzato dai due Autori sopra ricordati, ad un’agenzia doganale unica alle dirette dipendenze della Commissione dovrebbe allora fare da contrappeso la possibilità per i contribuenti di accedere direttamente alla Corte di Giustizia, per la tutela giurisdizionale nei confronti degli atti di questo moderno Leviatano doganale. Solo in questo modo si potrebbe ottenere uniformità di giudizio e di applicazione delle norme e, soprattutto, a parità di tempi, costi e condizioni.